Il Partito Democratico è un’ambizione. È l’ambizione di rispondere a quella domanda di politica efficace e concreta che oggi, nel nostro paese, è largamente insoddisfatta. È una domanda che interroga entrambi gli schieramenti: quello di centrosinistra oggi al governo, ma anche il centrodestra che al governo c’è stato, per un’intera legislatura, senza usare la sua amplissima maggioranza per varare le riforme strutturali che occorrevano al paese. E al Nord in particolare.
Nell’Italia delle cento città, alcuni luoghi esprimono questa domanda con più forza e chiarezza di altri. Vicenza è uno di questi luoghi. Il centrodestra, nell’ultimo anno e mezzo, l’ha quasi eletta a capitale simbolica della sua opposizione al governo Prodi. Silvio Berlusconi lanciò a Vicenza, con uno spettacolare comizio all’assemblea di Confindustria, un’aggressiva rimonta elettorale. E, solo qualche mese più tardi, è qui che il centrodestra ha tenuto la prima manifestazione nazionale contro la Finanziaria.
Vicenza è diventata insomma il palcoscenico privilegiato per un sentimento di protesta e insofferenza che il Partito Democratico non può liquidare con un’alzata di spalle. Non potrebbe farlo, del resto, chi riflettesse anche solo un istante su ciò che questa città rappresenta più in generale. Vicenza è il capoluogo di una provincia che da sola esporta nel mondo quanto l’intera Grecia. È la sede della terza associazione industriali per importanza nel paese. È quindi una città che respira e cammina al ritmo dello sviluppo, della competizione sui mercati internazionali, delle sfide raccolte e vinte attraverso un patto sociale non scritto, che in questa terra affianca l’operaio all’imprenditore. Non è per caso, io credo, che la natalità, in crisi a livello nazionale, sia qui più forte che nel resto del paese.
Vicenza è il simbolo di un Nord che spesso si sente lontano da Roma, ma che non è tale perché inchiodato ad un anacronistico localismo antistatale – come purtroppo qualcuno si ostina a pensare, sbagliando, anche nella mia parte politica. Quello rappresentato da Vicenza è spesso un Nord lontano da Roma perché più vicino all’Europa e alle sue nuove capitali. Vicenza è il simbolo di un Nord che pone domande moderne. Domande di libertà e di mobilità, innanzi tutto, per usare due delle parole che ho volutamente messo al centro della mia proposta politica per le primarie del Pd.
Penso, in primo luogo, alla domanda di libertà di costruire e di intraprendere, che significa domanda di un fisco giusto, realmente alleato dello sviluppo. È questo che ho proposto, lanciando la parola d’ordine di una “tregua fiscale”: occorre ridurre le tasse sul lavoro e sulle imprese. Come abbiamo iniziato a fare con la riduzione del cuneo fiscale e come continueremo a fare, nella prossima Finanziaria, con la riduzione di un 16% circa delle aliquote Ires e Irap: cioè le tasse che più pesantemente gravano sulle imprese.
Ma penso anche alla domanda di mobilità. La mobilità di un sistema che faccia spazio al merito, a partire dalle pubbliche amministrazioni, e la mobilità di un territorio che ha il diritto di ottenere quelle infrastrutture necessarie a unire i centri della futura metropoli del Nordest e costruire ponti verso l’Europa e il mondo.
Vicenza è il simbolo di una società che corre, ma che esprime paure da non ignorare. È la società che ha imparato rapidamente ad integrare una popolazione straniera qui più numerosa che nel resto d’Italia, ma che, già oggi, sperimenta la nuova frontiera di questo processo: l’integrazione nella legalità, nell’educazione degli stranieri alle nostre leggi, nella garanzia della sicurezza per tutti i cittadini.
Vicenza è anche il simbolo di un problema antico. Quello di territori in cerca di una rappresentanza e di una nuova classe dirigente. Di territori che non hanno dichiarato guerra al dirigismo romano per inchinarsi al neocentralismo dei governatori. Di territori che al paese danno molto, in termini di sviluppo, crescita economica e, non dimentichiamolo mai, tasse: ma ricevono poco e male, in termini di servizi e anche di spazio politico. Di territori che la politica deve sforzarsi di leggere e capire. È uno sforzo che tocca soprattutto al Partito Democratico, che a questa parte del paese dovrà saper parlare con un nuovo linguaggio e con nuove idee.
Non è un caso che io abbia concentrato la mia attenzione, in questi mesi, sulle cosiddette “città di provincia”. È da qui, dal cuore produttivo e pulsante del nostro paese, che i democratici dovranno iniziare il loro nuovo cammino.
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venerdì 12 ottobre 2007
Intervento di Enrico Letta sul Giornale di Vicenza
Pubblicato da
Enrico Peroni
alle
15:19
Etichette: Enrico Letta, Impresa, Nord, Partito Democratico, Sviluppo Economico, Veneto, Vicenza
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