La sinistra riformista italiana. La più piccola, indifesa, incapace di svilupparsi delle sinistre riformiste europee. Ha un ritardo culturale, ancor prima che politico, che consta di almeno tre questioni.
La prima è la laicità, tema recentemente abusato, ma con un profondo significato che va al di là delle questioni d'attualità come i PACS, i diritti per le persone omosessuali, l'Eutanasia, la fecondazione. E' un approccio, quello laico, che appartiene e si applica a tutte le questioni della vita civile e politica di un paese, di un partito, di un'associazione. L'economia, la giustizia, l'ambiente sono tutti temi ai quali un approccio mediato da un ragionamento che miri a non imporre posizioni di una parte e che miri a difendere la collettività delle espressioni umane può solo che giovare. E questa è laicità, è l'applicazione di un metodo politico razionale.
La seconda è il legame con un progetto federalista. Le nazioni che funzionano meglio sono quelle che decidono di delegare alle realtà locali un'ampia fetta delle proprie competenze. Questo è utile sia per creare una comunità locale veramente integrata, capace di recuperare le proprie tradizioni sociali e culturali (ad esempio gli immigrati andalusi in Catalunya fieri della storia e tradizione catalana) sia per risolvere i problemi dei cittadini nel modo più concreto, semplice, funzionale, utile, democratico, laico possibile: parlandoci. Questo può essere fatto delegando le scelte al livello più basso possibile ma anche incoraggiando strumenti di democrazia diretta.
La terza è una positiva e duratura contaminazione con il liberalismo progressista, che avvii una serie di riforme sulla base di un pensiero politico che mira alla giustizia sociale integrata alle libertà personali. Un pensiero politico che è conscio che le libertà si raggiungono con la giustizia e che la giustizia si raggiunge con le libertà.
Questi progetti, sono certo, sono stati dibattuti e presentati in varie forme e modi dalla sinistra riformatrice italiana e dai suoi principali esponenti sia nella prima repubblica che nella seconda. Ma nè il PSI negli anni '80 nè i Ds dal 1998 ad oggi sono riusciti a formare veramente una forza politica grande e concretamente riformista.
Ci hanno provato, hanno al loro interno avviato profonde riflessioni, hanno al loro esterno e al governo provato ad applicare alcune di queste proposte ma non sono riusciti a diventare un grande partito contenitore di tutto il mondo riformista e non sono nemmeno diventati completamente riformisti.
Perchè? I motivi sono, come in ogni grande processo, molteplici.
Un paio di cause, in realtà relativamente importanti, non sono da imputare ad errori del PSI prima e dei DS dopo.
Sono il particolarismo italico, per il quale non si è riusciti mai a racchiudere tutta l'area riformista in un unico partito, e l'esistenza a sinistra del socialismo riformista di una grandissima area "antagonista" e alla destra una grandissima area "cristiano-sociale" capaci di fermare, per motivazioni differenti, alcune o tutte le innovazioni che il socialismo riformista europeo è riuscito o sta riuscendo a portare a termine.
I motivi profondi sono però altri, in parte differenti per il Psi e i Ds.
Il Psi, unico partito italiano che negli anni 70 non era finanziato pesantemente dall'estero, ha provato a mettere in campo un progetto alternativo sia alle mille anime democristiane che al comunismo berlingueriano, nel quale comunque si possono trovare diversi aspetti riformisti.
Il progetto, enunciato sull'Espresso del 1978, coltivato da diversi giornalisti ed intelleuttali e espresso nel modo più deciso al Meeting di Rimini del 1982, fallì per diverse cause, la prima delle quali fu il tentativo di finanziare il progetto con soldi talvolta non così "puliti". Un progetto partito sotto i migliori auspici fallì per l'incapacità della sua classe dirigente di rimanere estranea ai giochi d'interesse e perchè la società italiana non era, forse (e non è, forse) pronta ad un progetto riformista.
Le cause della crisi diessina, invece, vanno ricercate nella sua storia comunista, che ha limitato per anni la possibilità di vedere ampliata l'area di sostegno al partito, nella sua classe dirigente incapace di rinnovarsi e, non ultima, l'avventura del Partito Democratico, ambiziosa ma assurda.
Ambiziosa perchè vuole unire diversi riformismi ma assurda perchè non abbiamo ancora costruito, nel 2007, il socialismo riformista in Italia. E da un progetto mezzo realizzato non si crea un super progetto. Così, dal nulla.
Ds e Psi, storie diverse e risultati difficili. Ds e Psi, due esperienze che meritano rispetto ma che hanno fallito. Ds e Psi, due partiti che hanno provato ma non sono riusciti a diventare il partito socialista riformista casa della grande maggioranza della sinistra italiana.
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martedì 16 gennaio 2007
I ritardi della sinistra riformista italiana
Pubblicato da Enrico Peroni alle 12:45
Etichette: Analisi Politica
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2 commenti:
I miei complimenti per l'analisi, anche se in questo momento le questioni interne alla sinistra italiana sono l'ultimo delle mie preoccupazioni, eheh.
Comunque, sono arrivata qui tramite il portale di scienze politiche, frequento la tua stessa facoltà (Relazioni internazionali però...). Fai politica anche in università...?
Spero non con il collettivo, eheh :)
Saluti,
Martina
Ciao Martina,
mi fa piacere ti sia piaciuta la mia analisi. Io, a differenza tua, sono purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) anche fin troppo dentro le questioni interne alla sinistra di questo paese, in particolare per quel che concerne la mia città.
In Università non faccio politica, sia perchè non avrei tempo (sinistra giovanile, democratici di sinistra, gruppo gay di vicenza fondato da me con amici mi portano via tutto il tempo libero) sia perchè non so nemmeno che associazioni o gruppi ci siano al di là del collettivo, da cui sono lontano sia come idee che come prassi. Se tu sei dentro alla politica universitaria mi farebbe piacere saperne qualcosa :)
Ciao
Enrico
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