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lunedì 13 novembre 2006

Perchè credo nel Partito Democratico

Credo nel Partito Democratico, ci credo al di là del contenitore. Lo credo una necessità per questo paese.
Vorrei innanzi tutto sottolineare alcune caratteristiche che questo partito dovrà avere nel rapportarsi con l’Europa e le istituzioni europee. Poi mi pare più utile parlare di contenuti. I contenuti dell’idea che sta sotto la volontà di formare il partito unico dei riformisti italiani.
Le differenze tra Ds e Dl e nelle tantissimi persone, soprattutto giovani, che credono nell’Ulivo e sperano nel PD, sono minime. Sono differenze legate quasi esclusivamente a questioni di identità della prima repubblica. Identità che definirei fardelli.
Siamo costretti, in Italia, ad una continua ricerca di nuove collocazioni e nuovi strumenti politici dalla rovinosa caduta dei partiti della prima repubblica nel 1992-1993. Ma quella caduta non è la vera causa della differenza che c’è tra l’Italia e il resto d’Europa.
La Spagna, la Gran Bretagna, la Germania, il Portogallo negli ultimi 30 anni almeno hanno un sistema politico che è stato prima diviso in socialdemocrazia contro cristiano-democrazia (o partito conservatore) e ora divisa in modo vero tra l’evoluzione delle socialdemocrazie, i partiti liberal-socialisti che governano o hanno governato i paesi europei, e i partiti conservatori membri del PPE.

Il liberalsocialismo si può dire essere l’incontro tra liberalismo progressista e socialismo riformista, per la creazione di una formazione politica che si impegni affinché aumentino in modo armonioso i diritti individuali e quelli sociali, la giustizia e la libertà. Una formazione politica giovane che sia continua tensione verso il moderno e il progresso, verso l'equità nella libertà. Questa idea, che si unisce alla concezione cattolico democratica della solidarietà sociale crea un modello da seguire e che, in parte, Ds e Dl stanno già mettendo in atto.
Perché in Italia, ci si chiederà, c’è bisogno del PD che porti avanti questa unificazioni di progetti differenti, unificazione che all’estero è stata fatta dai partiti socialisti e socialdemocratici? Ne abbiamo bisogna per la peculiarità del nostro paese, in quanto siamo noi che abbiamo avuto:

  1. il più grande partito comunista d’Europa Occidentale, con una politica di governo locale più a destra dell’SPD ( che limitava una crescita di un vero partito socialdemocratico nel nostro paese) e una politica estera sovietica;
  2. una Democrazia Cristiana con correnti di sinistra molto forti e radicate che in un altro paese sarebbero state in un partito socialista, se questo fosse stato minimamente grande;
  3. un Partito Socialista troppo piccolo e fino a metà anni 70 troppo poco riformista.

Vi è quindi la necessità del Partito Democratico.
Non si può, però, precludere a questa formazione politica una posizione europea. Che sia nel PSE o nell’ELDR poco importa. Io preferisco il PSE. L’importante è che abbia una casa in Europa perché l’impegno primo di un partito riformista è quello di europeizzare l’Italia, in senso economico, culturale e strettamente legato alla futura nazione in cui vivremo, appunto l’Europa. Non possiamo evitare di diventare europei, altrimenti si rischia di morire come Europa tutta, nella gara economica mondiale. Un partito che non ha collocazione europea non è spinto a trovare nuove vie al futuro più democratico e più ordinato del sistema politico europeo e quindi al futuro stesso dell’Ue. E’ necessaria una collocazione, che sia decisa in modo limpido e serio fin da subito. Perché costruire finalmente la casa unica dei riformisti italiani ed uscire in modo totale dalla possibilità di essere in una delle famiglie riformatrici europee è come fare un appartamento senza il palazzo esterno.
Oltre la questione dell’Europeismo sostengo che ci siano delle altre questioni,ovviamente.
E’ nei fatti di tutti i giorni che il progetto del P. d. esiste già. I dirigenti della Margherita e dei Ds stanno in questo inizio di legislatura lavorando insieme per quelle liberalizzazioni di cui questo paese ha fondamentale bisogno. Più in generale lavorare per riformare la PA, il sistema pensionistico, il sistema scolastico, dare diritti civili, distinguere chiaramente nella prassi e nella teoria ciò che è pubblico e privato evitando figuracce e mettendo in regime di concorrenza vera ciò che si liberalizza, attuare un federalismo che ridistribuisca le risorse a chi paga le tasse in un determinato luogo e garantire maggiori competenze agli enti locali, combattere l'evasione fiscale. Di fatto questo significa cercare di portare questo paese da un sistema economico che ha alcuni aspetti oserei dire feudali ad un sistema economico veramente e chiaramente capitalista sul quale sia possibile attuare una forma moderna di welfare state. Un welfare senza uno stato veramente capitalista è un welfare che fa male. Quindi urgono le riforme liberali citate.

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